I messaggi inviati su WhatsApp possono integrare confessione stragiudiziali e principio di prova scritta
L’estratto di chat WhatsApp, che contenga dichiarazioni rivolte da una delle parti a un terzo suscettibili di valere quale confessione stragiudiziale, integra il principio di prova scritta richiesto ai fini dell’ammissibilità della prova testimoniale sulla sussistenza di pattuizioni a latere degli accordi raggiunti tra i coniugi in sede di separazione o divorzio e trasfusi nei relativi provvedimenti giudiziali.
Questo è quanto stabilito dal Tribunale di Catanzaro, sezione II, con la sentenza 17 luglio 2025, n. 1620.
Il Sig. A. ha ottenuto un decreto ingiuntivo nei confronti della ex moglie O., vantando un credito restitutorio di circa euro 20.000, deducendo di aver pagato in via esclusiva il mutuo cointestato agli allora coniugi.
O. ha proposto opposizione, allegando che tra le parti, nelle more del divorzio, avevano concordato che, mentre il marito si sarebbe fatto carico in via esclusiva del pagamento del mutuo, la moglie avrebbe rinunciato ad avanzare pretese economiche con particolare riguardo al proprio diritto al mantenimento.
L’opposto ha resistito, evidenziando l’insussistenza, in seno agli accordi presi in sede di separazione e di divorzio, delle pattuizioni indicate dall’opponente.
Il Tribunale, prima di rimettere la causa in decisione, ha sentito come testimoni i figli della coppia.
Nell’accogliere l’opposizione, il Tribunale ha in particolare evidenziato che l’estratto di chat Whatsapp, che contenga dichiarazioni rivolte da una delle parti a un terzo suscettibili di valere quale confessione stragiudiziale, integra il principio di prova scritta richiesto ai fini dell’ammissibilità della prova testimoniale sulla sussistenza di pattuizioni a latere degli accordi raggiunti tra i coniugi in sede di separazione o divorzio e trasfusi nei relativi provvedimenti giudiziali.
Il Tribunale è stato quindi chiamato a decidere circa la configurabilità di accordi a latere delle condizioni di separazione ovvero divorzio, non riportati nel relativo provvedimento conclusivo dell’autorità giudiziaria.
Circa l’ammissibilità di un patto aggiunto e coevo ad un accordo ufficializzato in sede di soluzione della crisi familiare, l’indirizzo prevalente nella giurisprudenza di legittimità ha affermato che l’accordo transattivo relativo alle attribuzioni patrimoniali, concluso tra le parti ai margini di un giudizio di separazione o di divorzio, ha natura negoziale e produce effetti senza necessità di essere sottoposto al giudice per l’omologazione (Cass. civ., 28 gennaio 2025, n. 1985).
In tale prospettiva, la giurisprudenza, escludendo che l’interesse della famiglia sia superiore e trascendente rispetto alla somma di quelli, coordinati e collegati, dei singoli componenti, ha ammesso un’ampia autonomia negoziale delle parti, seppur con qualche cautela, là dove essa non contrasti con l’esigenza di protezione dei minori o comunque dei soggetti più deboli (Cass. civ., 3 dicembre 2015, n. 24621).
In particolare, distinguendo tra contenuto che riguarda i rapporti tra i genitori e figli (riservato al controllo del giudice) e un contenuto relativo ai coniugi (rientrante nell’ambito della loro determinazione discrezionale ed autonoma, in base alla valutazione delle rispettive convenienze), la giurisprudenza ha sostenuto che simili accordi, di natura sicuramente negoziale, non sono di per sé contrari all’ordine pubblico, dando vita, a volte, a veri e propri contratti (Cass. civ., 20 agosto 2014, n. 18066; Cass. civ., 21 agosto 2013, n. 19304), risultando comunque loro applicabili alcuni principi generali dell’ordinamento, quali quelli attinenti alla nullità dell’atto o alla capacità delle parti, ma pure alcuni più specifici, quali ad esempio quelli relativi ai vizi di volontà (Cass. civ., 3 dicembre 2015, n. 24621).
Secondo la decisione annotata è quindi ragionevole ritenere che tali accordi non producano effetti vincolanti tra le parti solo laddove contengano clausole chiaramente lesive degli interessi dei beneficiari dell’assegno di mantenimento oppure condizioni contrarie all’ordine pubblico: in mancanza di tali circostanze, l’accordo transattivo produce effetti obbligatori per le parti, e ciò anche se il suo contenuto non venga recepito in un provvedimento dell’autorità giudiziaria.
I cosiddetti accordi a latere, aventi la funzione di specificare il contenuto dell’accordo omologato, trovano quindi legittimo fondamento nel disposto dell’art. 1322 c.c. (qualora non superino il limite di derogabilità consentito dall’art. 160 c.c.) e vanno interpretati secondo i principi di non interferenza rispetto all’accordo omologato o assunto in sede di divorzio e di specificazione del contenuto dell’accordo medesimo, rispondendo all’interesse tutelato.
Sul piano probatorio, da dimostrazione di detti accordi segue le regole di prova dei contratti e la soluzione di eventuali contrasti interpretativi tra una pattuizione a latere e il contenuto di una separazione omologata o con la sentenza di divorzio è governata dai criteri dettati dagli
artt. 1362 ss. c.c. (Cass. civ., 20 gennaio 2025, n. 1324).
Quindi, prosegue il Tribunale, vengono in rilievo in particolare l’art. 2722 c.c., nella parte in cui stabilisce il divieto di prova testimoniale per i patti aggiunti o coevi al contenuto di un documento, e l’art. 2724 c.c., che consente di ammettere la prova testimoniale per la prova di detto patto al ricorrere di determinate circostanze che lasciano fondatamente ritenere l’esistenza dello stesso.
Nel caso di specie, nel corso dell’istruttoria, sono stati sentiti i figli della coppia e la relativa prova è stata reputata ammissibile in virtù della sussistenza di un principio di prova scritta estrinsecantesi nei messaggi Whatsapp inviati dal Sig. A. ai figli, idonei a configurare una confessione stragiudiziale ( art. 2735 e 2724 c.c.), prodotti dall’attrice opponente O. In particolare, dai messaggi era emerso che, sin dalla stipula del contratto di mutuo, era stato sempre il Sig. A. ad accollarsi per intero le rate, ciò disvelando – secondo il Tribunale – la sussistenza di un accollo c.d. interno (Cass. civ., 3 dicembre 2021, n. 38225).
Per altro verso, con riguardo all’impossibilità morale o materiale di procurarsi una prova scritta dell’accordo, di cui all’ art. 2724, n. 2, c.c., il Tribunale ha ricordato che, “se è vero che per la ricorrenza dell’impossibilità morale, di procurarsi la prova scritta di cui alla citata norma non è sufficiente la deduzione di una astratta posizione di preminenza della persona dalla quale la dichiarazione scritta doveva essere pretesa o di un vincolo affettivo con la persona stessa, è pur vero che la valutazione debba sempre essere operata in considerazione del caso concreto e che la circostanza de qua non possa essere negata, ove ricorrano altre speciali e/o particolari circostanze concorrenti a determinare una specifica situazione di oggettivo impedimento psicologico alla richiesta di una dichiarazione siffatta.
Non può pretendersi l’allegazione di circostanze ostative assolute, ma è sufficiente, per integrare gli estremi di una situazione d’impossibilità morale, specie ove si verta in tema di rapporti affettivi, l’allegazione di circostanze anche di dettaglio nelle quali un atteggiamento di sospetto e/o sfiducia finirebbe per ingenerare comprensibili risentimenti e motivi di crisi nei rapporti interpersonali; sicché, in tali ipotesi, l’opera del giudice deve volgersi, con particolare sensibilità , alla valutazione delle circostanze dedotte in relazione sia al tipo di rapporto inter partes, sia alla possibile incidenza di eventi o situazioni particolari†(Casa. civ., 7 luglio 2016, n. 13857).
In tale prospettiva, il Giudice del caso di specie ha ritenuto sussistenti analoghe circostanze speciali e di contorno, tali da far apparire verosimile la sussistenza dell’impossibilità morale. Secondo il Tribunale, il clima affettivo descritto da entrambe le parti come abbastanza precario (quanto a risentimenti per una comunione spirituale ormai cessata, come peraltro ricavabile dalla notevole distanza delle parti in merito a soluzioni bonarie della controversia), nonostante la presenza di figli, nonché la particolare tensione sugli argomenti economici, inducono a ritenere altamente probabile che il solo fatto di cristallizzare nell’accordo di separazione prima, e divorzio poi, il patto tra i coniugi, avrebbe ingenerato un clima di maggior sospetto, sfiducia, acuendo la crisi familiare peraltro già in atto.