Con la Sentenza n. 31301 del 10.11.2023 la Corte di Cassazione chiarisce il rapporto che sussiste, in caso di rovina di edificio, tra la responsabilità extracontrattuale e quella tipica dell’appaltato reex art. 1669 c.c..
La responsabilità dell’appaltatore per “rovina e difetti di cose immobili” ex art. 1669 c.c..
In generale, l’appaltatore, senza bisogno di alcuna specifica pattuizione, è tenuto a garantire il committente per eventuali difformità o vizi dell’opera.
Infatti, ai sensi dell’art. 1668 c.c.il committente – previo tempestivo esercizio dell’azione entro 2 anni dalla consegna (art. 1667, comma 3, c.c.) – ha diritto di pretendere che l’appaltatore elimini a sue spese le difformità o i vizi, oppure che il prezzo sia proporzionalmente diminuito, “salvo il risarcimento del danno”.
Se, però, le difformità o i vizi dell’opera sono tali da renderla del tutto inadatta alla sua destinazione, il committente ha diritto di ottenere la risoluzione del contratto d’appalto(art. 1668, comma 2, c.c.).
La garanzia per difetti dell’opera apprestata in favore del committente segue il diverso regime prescritto dall’art. 1669 c.c. qualora l’appalto riguardi la costruzione di edifici o altre cose immobili destinate a lunga durata,
Nello specifico, il citato articolo prescrive che “[…] se, nel corso di dieci anni dal compimento, l’opera, per vizio del suolo o per difetto della costruzione, rovina in tutto o in parte, ovvero presenta evidente pericolo di rovina o gravi difetti, l’appaltatore è responsabile nei confronti del committente e dei suoi aventi causa, purché sia fatta la denunzia entro un anno dalla scoperta. Il diritto del committente si prescrive in un anno”.
Per costante giurisprudenza, la scoperta (fatto dal quale decorre il termine per proporre tempestiva denuncia dei vizi che hanno determinato o potrebbero determinare la rovina dell’immobile) “si intende verificata quando il committente consegua un apprezzabile grado di conoscenza obiettiva della gravità dei difetti e della loro derivazione causale dall’imperfetta esecuzione dell’opera (spesso attraverso una relazione di consulenza tecnica), non essendo sufficiente […] la constatazione di segni esteriori di danno o di pericolo (ovvero manifestazioni di scarsa rilevanza o semplici sospetti), salvo che si tratti di manifestazioni indubbie come cadute o rovine estese” (testualmente, Cass. Civ., Ordinanza n. 13707/2023; ex multis, Cass. Civ., Sentenza n. 4249/2010).
Nonostante la collocazione sistematica dell’articolo in esame (nell’ambito della disciplina del contratto d’appalto), il bene giuridico alla cui tutela tende la disciplina dettata dall’art. 1669 c.c. trascende il rapporto negoziale in base al quale l’immobile è pervenuto nella sfera di dominio di un soggetto diverso dal costruttore. Quindi, l’azione di responsabilità è proponibile nei confronti i) del costruttore (a carico del quale vige una presunzione iuris tantum di responsabilità), ii) del venditore (non solo quando abbia provveduto alla costruzione con gestione diretta di uomini e mezzi, ma anche quando abbia comunque mantenuto il potere di impartire direttive sullo svolgimento dell’attività altrui; ex multis, Cass. Civ., Sentenza n. 18891/2017), iii) del progettista (quando la rovina dell’edificio dipenda da errori di progettazione; ex multis, Cass. Civ., Sentenza n. 8016/2012), e iv) del direttore dei lavori (ex multis, Cass. Civ., Sentenza n. 13158/2002).